Riporto questo testo, tratto da “Organo Pleno” e “Full Swell” di Gordon Reynolds, ed. Novello, non potendo non sottolineare la sua attualità, anche qui in Italia…
Ai vecchi tempi gli organisti erano uomini dalla faccia granitica ed era un atto di temerarietà anche solo rivolgergli la parola: a quei tempi infatti, si supponeva che l’organista conoscesse meglio di chiunque altro quali musiche suonare e come suonarle. Nessun parroco, nessun ministrante osava guardare quegli occhi e dire “un tono sotto per la Salve Regina e alla fine la Marcia del Lulli”, perché l’organista avrebbe risposto: “In questo caso la predica durerà esattamente quattro minuti e mezzo, non ci saranno noiose ripetizioni di testo né la solita ridicola conclusione”.
Ma come abbiamo fatto a lasciare che questo sano rispetto andasse perduto? Come siamo potuti arrivare ad una situazione in cui gli sposi, quando scelgono le musiche, chiedono delle cose tipo “Vorremmo la fuga di Beethoven, sa, quella che fa tatatatatata“.
Ci siamo forse lasciati lusingare da coloro che ci chiedevano “Ci suona il Largo di Haendel”?
Ci dev’essere stato ad un certo punto qualche asino che ha accettato di suonarlo e da allora i barbari ci hanno messo sotto i piedi.
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